Chi è Mynghers?
Chi è Mynghers?
Sono io Mynghers. O meglio, ero io. Ora sono soltanto il ricordo sbiadito di chi ero un tempo. Sempre nel posto sbagliato, al momento giusto.
La storia di Mynghers iniziò in un pomeriggio d’estate, un giorno qualunque che sarebbe però rimasto impresso nella sua memoria. Suo padre era tornato da una vacanza con degli amici, un viaggio che aveva scosso le fondamenta della famiglia. Perché? Mynghers non lo sapeva con certezza, ma i toni accesi tra i genitori facevano intuire che c’era qualcosa di più: forse tradimenti? Forse accuse? A lui, in fondo, importava poco. Quello che attendeva con ansia era il regalo promesso dal padre.
E il regalo arrivò.
Era un set di giochi degli anni Settanta, confezionato in uno di quei cartoni plastificati che custodivano piccoli tesori d’infanzia. Lo strappò con mani febbricitanti, rivelando il contenuto: un binocolo, una macchina fotografica e, forse, un paio di manette. Le manette erano un dettaglio confuso nella sua memoria, ma il binocolo e la macchina fotografica spiccavano nitidamente.
C’era però un problema. Il lungo viaggio di ritorno, dal fresco delle montagne di Macugnaga al caldo afoso di Agliate, aveva avuto un impatto devastante. Il padre, ignaro, aveva posato il set proprio sotto il lunotto posteriore dell’auto. Il sole implacabile aveva sciolto parte dei giocattoli, trasformandoli in un groviglio di plastica deformata. Il binocolo, benché un po’ storto, funzionava ancora. La macchina fotografica, invece, era miracolosamente sopravvissuta, intatta e misteriosa.
Mentre osservava i suoi nuovi giochi, Mynghers sentiva in sottofondo le voci accese dei genitori. Sua madre rimproverava il padre, il cui comportamento durante la vacanza aveva seminato sospetti e tensioni. Ma a Mynghers non interessavano quelle liti. No, lui aveva due giochi che promettevano ore di divertimento. Eppure, la macchina fotografica esercitava su di lui un’attrazione particolare, un fascino che andava oltre la semplice curiosità infantile.
C’era un ostacolo, però: mancava il rullino. La macchina, così come l’aveva ricevuta, era incompleta. Era come un puzzle senza il pezzo finale, un giocattolo che non poteva funzionare. Per giorni, Mynghers insistette. Usò capricci, suppliche e persino tentativi di spiegazioni inventate per convincere sua madre a procurargli quel rullino. La madre, sfinita e confusa, si rivolse alle vicine di casa, sperando in qualche consiglio. Sembrava che quel rullino fosse un oggetto esotico, una richiesta insolita per un bambino degli anni Settanta.
Ma alla fine, miracolosamente, la madre trovò il modo. Non si sa come, non si sa dove, ma il rullino fotografico apparve, come per magia, tra le piccole mani di Mynghers. Era in bianco e nero, eppure, per lui, era come avere tra le mani la chiave di un mondo nuovo.
Quel giorno, qualcosa cambiò. Mynghers non era più solo un bambino con un gioco nuovo: era un esploratore, un narratore di storie pronte a prendere forma attraverso l’obiettivo di quella macchina fotografica.